Il Calapranzi di Harold Pinter, in scena al Teatro Biondo di Palermo dal 29 gennaio al 9 febbraio 2025, è un’opera che esplora la tensione tra l’assurdo e il tragico, un classico della drammaturgia del Novecento che porta sul palcoscenico una riflessione profonda sulla condizione umana, sul potere e sulla violenza. L’allestimento, curato da Roberto Rustioni, segna il debutto in prima nazionale di una nuova produzione, che promette di trasportare il pubblico in un mondo inquietante e surreale, tipico della scrittura di Pinter.
La trama e la poetica di Il Calapranzi
La pièce, che nasce nel 1957 e viene rappresentata per la prima volta a Londra nel 1960, racconta la storia di due killer, Ben e Gus, che aspettano in un oscuro seminterrato le istruzioni per eseguire un omicidio. La loro attesa è caratterizzata dalla comunicazione attraverso un “calapranzi” – un montacarichi che collega il loro spazio claustrofobico con un mondo esterno misterioso e minaccioso. Il testo, pur raccontando una vicenda minimale, si trasforma in un’allegoria potente della solitudine e della frustrazione esistenziale.
La regia di Roberto Rustioni: tra mistero e riflessione filosofica
Il regista Rustioni, nel suo approccio all’opera, ha dichiarato di voler esplorare la scrittura di Pinter non solo per la sua capacità di intrattenere, ma per il suo profondo significato filosofico. Pinter, accanto a figure come Čechov, Beckett e Joyce, è stato un maestro nell’indagare la dimensione misteriosa della condizione umana, ciò che rimane nascosto, non detto, ma che definisce la realtà più di ogni altro elemento. Nella sua scrittura, il silenzio, l’incertezza, l’assenza di risposte diventano strumenti potentissimi per parlare delle inquietudini esistenziali e della necessità di interrogarsi sul senso della vita.
Scenografia e interpretazione: l’intensità dei protagonisti
La scenografia di Valentina Console crea l’ambiente claustrofobico e asfittico del seminterrato, un luogo che amplifica la sensazione di oppressione e di attesa, mentre la recitazione di Dario Aita e Giuseppe Scoditti nei ruoli di Ben e Gus promette di rendere tangibile la tensione psicologica e fisica che pervade il testo. Ben, il personaggio più autoritario e nervoso, e Gus, più pacato e rassegnato, si confrontano in un continuo scambio di battute che alterna momenti di comicità a quelli di disperazione, in un gioco tragico e grottesco che coinvolge e cattura il pubblico.
Un’analisi politica e universale nella lotta tra Ben e Gus
La regia di Rustioni sottolinea anche l’aspetto politico della pièce: la violenza e il potere sono temi centrali che si intrecciano in una riflessione amara e profonda sulla condizione umana e sulla nostra percezione del mondo che ci circonda. In questo spazio ristretto, dove le parole e le azioni si riducono a un’eterna attesa, emerge la domanda fondamentale: cosa accade quando ci rendiamo conto della realtà in cui viviamo, quando iniziamo a mettere in discussione il nostro ruolo e il potere che ci sovraintende? La lotta tra Ben e Gus non è solo personale, ma rappresenta il conflitto universale tra il desiderio di riscatto e la rassegnazione di fronte all’impotenza.
Il Calapranzi si conferma così come un’opera che non solo intrattiene, ma che stimola una riflessione sulla violenza insita nelle strutture di potere e sulla necessità di scendere in profondità, oltre le apparenze, per comprendere le dinamiche che governano la nostra esistenza.