Tra Sicilia e infinito: i film di Franco Battiato tra estasi e immateriale

Quando si parla di Sicilia e cinema, i soliti cliché arrivano puntuali: mafia, limoni, neorealismo col sole a picco. Ma c’è un artista che ha ribaltato tutto, portando l’isola in una dimensione completamente diversa, quasi aliena. Franco Battiato, icona assoluta della musica italiana, è stato anche un regista visionario, autore di un cinema spirituale e sperimentale che ha pochi paragoni nel nostro paese.

Tra il 2003 e il 2007 ha diretto tre film: Perdutoamor, Musikanten e Niente è come sembra. Tre opere lontanissime dai canoni del cinema commerciale, dove la Sicilia non è mai solo uno sfondo, ma una forza energetica, un punto di partenza per viaggi interiori, filosofici e metafisici.

Perdutoamor (2003): terra di formazione spirituale

Il primo film di Battiato è anche il più “accessibile”. Perdutoamor è un racconto di formazione semi-autobiografico ambientato nella Sicilia degli anni ’50-’60. Ma dimenticate i toni nostalgici o folcloristici: qui la Sicilia è silenziosa, mentale, luminosa e malinconica. È la terra dove nasce il bisogno di andare altrove, non per fuggire, ma per cercare.

“Partiti da un soggetto assolutamente pretestuoso,” scriveva Battiato “il mio intento era quello di plausibilizzare sprazzi di veglia.”

E in effetti, Perdutoamor non è un film tradizionale, ma un viaggio esistenziale in forma di racconto di formazione. Girato interamente in Sicilia tra Catania, Aci Castello, Riposto, Santa Venerina, Ispica, Ragusa e Vittoria  il film segue Ettore Corvaja, alter ego del regista, tra adolescenza, scoperta artistica e tensione spirituale. La narrazione attraversa incontri surreali, lezioni di esoterismo e momenti di poesia visiva, mentre la macchina da presa diventa, come dice Battiato stesso, il vero protagonista. Il titolo riprende la canzone Perduto amore di Salvatore Adamo, reincisa da Battiato nel 2002 in Fleurs 3, a sottolineare il legame tra memoria e reinvenzione. Tra le sorprese, anche la partecipazione di Francesco De Gregori in un cameo come critico musicale: un altro segno che questo film vive più di suggestioni che di trama.

Musikanten (2005): Beethoven, Jodorowsky e viaggi astrali

Secondo lavoro da regista per Battiato, Musikanten è un’opera insolita e affascinante, centrata sulla figura di Ludwig van Beethoven, sospesa tra biografia spirituale e immaginazione visionaria. Presentato nella sezione Orizzonti alla 62ª Mostra del Cinema di Venezia nel 2005, il film è un viaggio tra realtà storica e dimensione metafisica, con un protagonista d’eccezione: Alejandro Jodorowsky, regista cult del cinema psichedelico, nei panni del genio tedesco. Qui Beethoven non è solo un compositore, ma un iniziato, un uomo in cerca dell’assoluto, circondato da personaggi enigmatici e simbolici. Lontano dai canoni del biopic classico, il film è stato riconosciuto come di interesse culturale nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a conferma dell’unicità dell’operazione artistica. In Musikanten, Battiato abbandona ogni forma convenzionale e usa la macchina da presa per interrogare l’invisibile, rendendo il cinema uno strumento di meditazione. Ancora una volta, la Sicilia resta in filigrana: non come luogo fisico, ma come origine interiore di una sensibilità altra.

 

Niente è come sembra (2007): cinema come meditazione

Con Niente è come sembra, Franco Battiato raggiunge l’apice della sua ricerca cinematografica interiore. Terzo e ultimo film da regista, è anche il più ermetico, radicale e volutamente anti-narrativo. Qui la trama si dissolve quasi del tutto, lasciando spazio a dialoghi filosofici, simbolismi esoterici e frammenti di pensiero orientale. Personaggi misteriosi si muovono tra conversazioni su reincarnazione, karma, fisica quantistica, illusioni sensoriali. L’intero film è concepito come una pratica contemplativa: non si guarda, si attraversa. La macchina da presa osserva, indaga, resta immobile davanti all’invisibile. Il titolo stesso è una dichiarazione di poetica: nulla è come appare, tutto è illusione, o forse rivelazione. In questo viaggio rarefatto, la Sicilia diventa definitivamente astrazione, eco remota di un’origine spirituale che attraversa tutta l’opera di Battiato. Il film è un gesto d’artista puro, svincolato da ogni compromesso, in cui il cinema si fa meditazione visiva e invito al risveglio.

In un mondo in cui tutto sembra dover avere un senso, Battiato ci ha ricordato che l’essenziale è invisibile al racconto. E che il vero viaggio, come sempre, comincia dentro.

Il cinema di Franco Battiato è un atto di fede nell’arte come esperienza trasformativa. Non intrattiene, non rassicura, non spiega: suggerisce, evoca, disvela. I suoi film, sospesi tra filosofia, misticismo e ricerca interiore, ci mostrano una Sicilia invisibile ma potentissima — non quella delle cartoline, ma quella che vibra sotto la pelle delle cose, quella che parla a chi sa ascoltare.

In un panorama culturale spesso ingabbiato da stereotipi, Battiato ha scelto la strada più difficile: ha fatto del cinema uno strumento per interrogare l’anima. E lo ha fatto da siciliano, portando con sé il silenzio dell’Etna, la luce di Milo, la memoria di una terra che guarda al cielo.

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